Importante appuntamento culturale da non perdere domenica prossima, 26 marzo alle ore 19.00, nella chiesa Collegiata Maria Ss.ma Annunziata di Grottaglie dedicato al penultimo incontro del ciclo di conferenze organizzato dalla stessa Parrocchia della Chiesa Madre guidata da D. Eligio Grimaldi e dalla “Pluriassociazione S. Francesco De Geronimo” presieduta dal dott. Ciro De Vincentis.

Toccherà al prof. Vittorio De Marco, professore ordinario di storia contemporanea all’Università del Salento e apprezzatissimo studioso della storia sociale e religiosa del Mezzogiorno e della storia del movimento cattolico in Italia, tenere una conferenza di evidente interesse, e cioè: Francesco de Geronimo e le “periferie esistenziali”, al fine di riscoprire la figura, l’opera e l’attualità del messaggio del Santo Patrono di Grottaglie in questo III Centenario della sua morte che si concluderà il prossimo 11 maggio.

Nella bella e grandiosa chiesa del Gesù Nuovo di Napoli, dove San Francesco De Geronimo visse per vari decenni tra Sei e Settecento, si può ammirare nella sua cappella un mirabile gruppo scultoreo di Francesco Jerace che fissa nel marmo l’impegnativa opera di misericordiosa attenzione e di redenzione sociale, morale e spirituale della società del suo tempo cui egli attese per tutta la vita.

Lo scultore – scrive un suo biografo, il P. Francesco D’Aria – ha sinteticamente immortalato il suo campo d’azione “nelle quattro efficacissime figure che ne circondano il monumento: una cortigiana convertita, un galeotto pentito, una trovatella scarmigliata, un lacero scugnizzo. Ma nessuno storico li conterà. Impossibile seguirlo per quarantun anni, nel suo continuo girare per quei sordidi budelli ch’erano allora le vie di Napoli, per quelle malsane topaie che erano la più parte delle case, per quei nidi di malviventi ch’erano i larghi e le piazze, per quelle scuole di corruzione ch’erano i famosi quartieri… Il suo uditorio era infatti formato dagli stessi personaggi dei quali in quegli anni Salvator Rosa popolava le sue tele di costume napoletano, e che Shaftesbury allora così descriveva nelle sue lettere da Napoli: «…cenciosi, bricconi, briganti, civette, donnacce, biscazzieri, musicanti, saltimbanchi, ciarlatani, cavalieri di strada, cavalieri d’industria e, bisognerebbe aggiungere, scaricanti del porto, barcaioli del molo, soldatacci del vicino castello, e simile genìa”.

Al termine delle sue faticose giornate vissute non senza pericolo in quelle che oggi potremmo chiamare le “periferie esistenziali”, egli si traeva dietro in chiesa buona parte di quelle schiere e le metteva sulla via della redenzione.

Per vagliare la sua vasta opera di restaurazione sociale, religiosa e civile, bisognerebbe dire – aggiunge ancora il D’Aria – di tanti malviventi tolti al delitto e d’innumerevoli donne ridotte ad onestà, allora che Napoli era un cittadella della mala vita; di carcerati senza numero moralmente redenti e di mille infermi strappati alla disperazione, quando carceri ed ospedali erano un piccolo inferno; di fanciulle pericolanti e di ragazzi abbandonati tolti alla strada, in quei tempi ben lungi dalle odierne provvidenze statali; di mortali inimicizie pacificate, dove gli uomini si uccidevano come bestie; di unioni legittimate e famiglie risanate; di convitti, seminari e istituti d’ogni sorta rimessi in fiore; di monasteri di vergini riformati; di sacerdoti richiamati all’altezza della loro dignità; di vocazioni senza numero suscitate; della incalcolabile schiera di anime incamminate al Cielo” grazie alla sua parola, al suo esempio, al suo sacrificio.”

Senza dubbio un argomento di grande attualità ancora ai nostri giorni in cui la società manifesta una situazione analoga a quella affrontata coraggiosamente e generosamente da padre Francesco De Geronimo oltre tre secoli fa.